Furore – John Steinbeck

FuroreFurore by John Steinbeck
My rating: 5 of 5 stars

L’ho preso in biblioteca e me ne dolgo, perché ho dovuto fotografare alcuni passaggi per poterli rileggere a distanza.
Tra le migliaia di recensioni cosa posso aggiungere?
Sono arrivata a Furore dopo La Perla, Uomini e Topi e La Valle dell’Eden. Quest’ultimo resta forse il mio preferito, ma al fotofinish.
Qui abbiamo una forte critica sociale, attraverso l’odissea della famiglia contadina dei Joad alla ricerca di lavoro in California con un furgone scassato attraverso la Route 66, attirati, come decine di migliaia di persone, da una propaganda che si rivelerà fasulla. Del resto che possono fare? Le banche hanno deciso che i loro terreni in Oklahoma vanno spianati e lo fanno attraverso le trattrici, guidate da uomini che o eseguono o non mangiano. La colpa è comunque sempre di qualcun altro, non conviene ribellarsi visto che non ci si sente responsabili.
Sembra scritto oggi.
La migrazione economica è sempre esistita e ovunque i migranti vengono visti con timore e trattati nel modo peggiore possibile. Anche i Joad, che sono persone per bene e vogliono solo lavorare, dovranno affrontare pregiudizi e mille difficoltà. Gli Okies, come vengono chiamati i migranti, per i californiani sono “bestie”. E l’opinione che ne hanno è questa: “Forse sarebbero anche loro come noi, se conoscessero qualcosa di meglio, ma non hanno idea che possa esistere qualcosa di meglio di quello che hanno; è per questo che si adattano a tutto”.

C’è una critica feroce del capitalismo, con i grandi proprietari che preferiscono lasciare i terreni incolti o la frutta marcire sugli alberi perché non conveniente, c’è l’evidenza delle difficoltà delle lotte sindacali, perché se qualcuno cede alla fine vince il padrone e come si fa quando c’è un esercito di disperati che accetta di lavorare per pochi spiccioli? Si preferisce comprare il necessario invece che produrlo. I soldi vengono spesi in armi per scacciare questi intrusi, perché “Credete di essere in casa vostra?, Ma guarda un po’, si credono padroni loro, questi Okies, sgombrate subito! E l’agente calpesta i verdi sprocchetti di carota e l’ortica non tarda a riprendere il sopravvento”.

C’è la dimostrazione che la collaborazione collettiva funziona (il campeggio governativo) se tutti svolgono bene il loro compito e ovviamente la situazione è mal vista da chi invece deve tenere i lavoratori nella massima disperazione possibile per poterli sfruttare.

“E le banche e le società si scavano la fossa con le proprie mani, ma non lo sanno. I campi sono fecondi e sulle strade circola l’umanità affamata. I granai sono pieni, e i bimbi dei poveri crescono rachitici e pieni di pustole. Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro che potrebbe andare in salari va in gas, in esplosivi, in fucili, in spie, in polizia e in liste nere”

Ci sono capitoli più di scenario complessivo, che poi viviamo subito dopo attraverso le vicende capitate alla famiglia Joad. Si tratta di un romanzo che spiazza anche nel modo in cui fa entrare/uscire i personaggi. Si parte con il ritorno di Tom Joad dalla prigione, ma Tom non sarà strettamente il protagonista. Di alcuni personaggi, figure meno importanti della famiglia, non sapremo veramente nulla una volta usciti di scena. Altri restano indimenticabili, a partire dalla mamma, che è il vero collante di tutto e prende decisioni con grande polso.

Il finale non risolve, ma è perfetto così. Da un lato è straziante, dall’altro è una sorta di messaggio di speranza, con un immancabile riferimento biblico.


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