Scintilla inaspettata – Capitolo 5: di nomi veri e pseudonimi

Avete notato che gli autori/le autrici romance raramente usano il loro vero nome quando pubblicano? Lo pseudonimo è sempre esistito, sia chiaro, nella letteratura. Sono moltissimi coloro che preferiscono non metterci la faccia (il caso Elena Ferrante è quello più eclatante degli ultimi anni). Ci possono essere diverse motivazioni alla base della scelta: utilizzare un nome “più facile” (pensate a Pablo Neruda che si chiamava Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto) oppure al voler associare l’autore a un unico genere (Agatha Christie scelse un nom de plume per pubblicare romanzi rosa: Mary Westmacott, J.K. Rowling lo ha fatto per scrivere dei gialli con lo pseudonimo di Robert Galbraith), in passato era anche un modo per non doversi giustificare di fronte alla propria famiglia quando i rapporti non erano proprio idilliaci (è il caso di Eric Arthur Blair, meglio conosciuto come George Orwell).

Nel romance di oggi, a giudicare dal trend di mercato, vanno di moda i nomi inglesi e, non ho dati statistici a suffragarlo ma solo una certa esperienza leggendo commenti vari sui social e qualche articolo come questo, la cosa pare funzionare.

Il nome straniero, inoltre, affascina le lettrici che a volte commentano quasi deluse il fatto che la loro beniamina di turno si scopre essere italianissima. Come se “foreigners do it better“.

In più le storie uscite da Wattpad (se non sai cosa è Wattpad clicca qui per avere un’infarinatura) che hanno avuto grande successo, arrivano da autrici che si nascondono dietro pseudonimo sin dai primi passi sulla piattaforma ed è effettivamente poco sensato cambiare nome.

Ci sono poi due tipi di autori/rici con nome fittizio: quelli che vogliono restare anonimi e quindi non fanno firmacopie, non partecipano a eventi eccetera (è stato il caso di Erin Doom fino a un certo punto, poi, credo anche per pressioni varie, si è rivelata anche se non conosciamo il suo cognome) e quelli il cui nom de plume in realtà nasconde solo le vere generalità e non il volto.

Ho pubblicato Connessione a Rischio, un mystery, con il mio vero nome. Adesso, però, tocca a un romance, Scintilla Inaspettata.

Il cervello e tutta la conoscenza del settore suggerirebbero di far uscire questo romanzo con uno pseudonimo e invece, come sempre, pur conoscendo la teoria (anche su come si dovrebbe crescere sui social, ma pure qui cerco di resistere all’omologazione che ormai spinge solo i video ovunque) ho deciso di andare in direzione ostinata e contraria. E provo a spiegare perché.

  • Ho un nome che, in qualche modo, vale qualcosa

Emanuela Mortari, nonostante la mia tradizionale reticenza ad apparire e a sgomitare per emergere, è un nome che per tante persone significa qualcosa a Genova. Il mio lavoro mi ha fatto conoscere tanta gente e per fortuna qualcuno ha pure stima di me. Connessione a rischio è stato acquistato a scatola chiusa da persone che mi hanno una buona opinione della sottoscritta anche per il mio lavoro e per fortuna non ne sono rimaste deluse. Perché cambiare?

  • Su Wattpad chi aveva apprezzato Connessione a rischio mi ha seguita con entusiasmo anche in questa avventura in un genere diverso

È così a compartimenti stagni la narrativa di genere? Io penso di no, spero di no. Posso comprendere che i gialli/noir/mystery/thriller e i romance siano praticamente agli antipodi. Però è vero che in diversi mi hanno scritto: “Io romance non ne leggo di solito, ma se l’hai scritto tu ho fiducia”. Spero che tutto questo possa ripetersi anche al di fuori della piattaforma.

  • Si parla tanto di genere romance ormai sdoganato e allora perché ancora tutte queste “paure” a essere associati a questi libri?

Posso comprendere che una ragazza giovane magari non voglia mischiare la sua attività da scrittrice con il resto della sua vita, soprattutto se scrive “scene zozze” passatemi il termine. Tuttavia se oggi sbandieramo il fatto che il romance e tutte le sue declinazioni sono narrativa alla pari delle altre, sarebbe bello poterci appunto mettere nome e cognome senza aver paura di “scottarsi” o di doversi giustificare per scrivere un certo tipo di scene e di storie.

  • Perché, soprattutto in Scintilla, è importante metterci la faccia

Io lo so che tutti, tutti mi guarderanno con occhi diversi quando leggeranno del protagonista della storia: un attore a luci rosse molto famoso. “Eh, come ti sei documentata?” e giù risatine. In realtà ho letto e guardato interviste a chi fa parte di quel mondo, ho capito quanto disagio c’è dentro, ho cercato di raccontarlo pur mantenendo un tono leggero per gran parte del libro e poi il messaggio che voglio far passare è importantissimo proprio contro i pregiudizi nei confronti di certi tipi di mestiere. Ritengo di avere le spalle abbastanza larghe per sopportare i preconcetti di chi approccia la storia senza averla letta. Ho avuto la prova che nell’evoluzione delle vicende di Samuel e Agnese le persone si ricredono e capiscono che c’è qualcosa di più lì dentro.


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